“Ogni cronaca sui rom diventa un rito sacrificale”. Dijana Pavlovic e l’antropologia del capro espiatorio perfetto

L’omicidio stradale di Cecilia De Astis, la donna di 71 anni investita ed uccisa da un’auto rubata alla cui guida erano quattro ragazzini Rom , poco più che bambini, dai 13 agli 11 anni, ha rinfocolato le polemiche intorno alla comunità Rom. Attacchi della politica compresi. Abbiamo chiesto un commento a Dijana Pavlovic, scrittrice, attrice, attivista per i diritti del popolo Rom.
Come possiamo raccontare dal dal suo punto di vista questa brutta storia, con protagonisti in negativo dei ragazzini, che rubano una macchina e poi nel percorso uccidono una donna che sta attraversando la strada?
“Ovviamente possiamo raccontarla in tanti modi. Dal mio punto di vista. Io la racconterei, da cittadina, come un terribile caso, una tragedia, frutto del disagio giovanile. La racconterei come un problema di periferie. L’unica differenza è che questo invece è un caso nel quale sono coinvolti bambini rom e dunque si racconta in tutt’altro modo come l’abbiamo sentito visto tutti questi giorni. Per cui i Rom sono destinati alla delinquenza, anzi alla criminalità. Si tratta di un atteggiamento che non è certo nuovo, per cui il caso di cronaca diventa immediatamente un caso politico. Se poi sono coinvolti dei Rom allora i toni si esasperano, diventano parossistici”.
Se non è cronaca dunque cos’è?
“Innanzitutto qui ci troviamo di fronte ad una gigantesca questione sociale, con dei bambini che vivono in una situazione che non è eccessivo definire disumana, bambini e famiglie con cui le istituzioni sembravano aver perso completamente il rapporto, o comunque avere rapporti molto sfilacciati. Ma che nei confronti dei Rom anche la cronaca diventi accanimento politico è evidente. Un atteggiamento sempre esistito ma che ebbe una sua codificazione esatta qualche anno fa”.
Quando?
“Mi riferisco al caso di Giovanna Reggiani, la donna stuprata e uccisa a Roma una ventina di anni fa. Un caso terribile da cui si scatenò un’operazione politica terribile di demonizzazione di un intero popolo, a causa di un reato, efferato, di cui si era colpevole per altro non un Rom ma un cittadino romeno che aveva sposato una donna Rom. Solo che furono i Rom ad essere perseguitati come popolo. Con gli sgomberi e le deportazioni forzate, la raccolta delle impronte digitali, anche per i minori, un linguaggio di odio estremo che riempì l’informazione e la politica per settimane e mesi. Cominciò allora quella che fu definita ‘l’emergenza nomadi’, che fu appunto trattata attraverso metodologie emergenziali, come se si fosse di fronte ad un terremoto, ad una calamità.
Tutto poi rientrò in quanto i provvedimenti vennero ritenuti illegittimi dal Consiglio di Stato, ma oramai il danno era fatto. Per cui da allora ogni caso di di cronaca ogni cosa che vede coinvolti i rom, viene trattato, dall’informazione e dalla politica, in modo totalmente diverso; dunque si mette in modo un rito sacrificale vero e proprio ai danni di un popolo di piccole dimensioni, che non ha rappresentanza, e che dunque diventa una specie di vittima sacrificale”.
Qual è il ruolo della politica secondo lei in questo?
“I Rom come dicevamo sono un bersaglio facile, sono molto fragili, vivono in condizioni anche sociali molto fragili e dunque è facile farne un capro espiatorio di tutte le tensioni e le frustrazioni sociali, speculando politicamente. Come in questo caso che non è il e non sarà purtroppo nemmeno l’ultimo. Soprattutto da parte da parte della destra che naturalmente trova in queste vicende una anche un’occasione di compattarsi, di ritornare sulla scena con col favore popolare”.
Però c’è un tema ineludibile: questi bambini vivevano in una condizione devastante. Con alle spalle delle famiglie che esse stesse vivono a loro volta in condizioni al limite. E allora cosa si può fare?
“Intanto la premessa è che bisogna occuparsi di queste vicende prima che degenerino. Qui siamo di fronte a bambini rom che vivono in condizioni inaccettabili, ma capita di vivere in condizioni inaccettabili anche a tanti bambini italiani o stranieri. Chiaro che questi bambini appartengono a famiglie che viaggiano, senza documenti, totalmente distaccati da ogni tipo di servizio. Ma ce ne sono tanti non Rom che hanno esistenze precarie, sono vittime di abbandoni, violenze, prevaricazioni. Non capita solo ai bambini Rom. Allora dovremmo far in modo che questo non accada, come prima cosa.
Per rimanere ai fatti di cronaca che hanno visto coinvolti minori, io mi ricordo, adesso vado a memoria, casi terribili dove i ragazzini hanno preso le pistole hanno sparato uccidendo dei loro coetanei, si sono accoltellati, si sono riuniti in gruppo per stuprare una coetanea, una ragazzina, o che per pochi euro hanno fatto uccidere altri ragazzini. Casi di cronaca i cui protagonisti in negativo non erano Rom. E nessuno ha gettato la croce su tutta la comunità, giustamente. Io dico che ci sono molte situazioni sulle quali gente seria, politici che hanno un vero senso di responsabilità, ma anche intellettuali, giornalisti, cittadini comuni si dovrebbero interrogare sul da farsi per trovare le soluzioni, in maniera serena, prima che succedano le disgrazie. Si può sempre fare qualcosa per migliorare.
Purtroppo io penso che da questa da classe politica e dirigente non ci si possa aspettare questo perché non sono all’altezza. E dunque tutta questa cosa diventa solo uno spettacolo. Cioè ai nostri politici sembra di fare politica perché vanno in televisione a dire delle cose e più terribili, e più ne dicono più sono contenti, più pensano di essere bravi politici. Purtroppo questa è la malattia che non riguarda solo Rom, ma ovviamente soprattutto i Rom”.
Quindi lei non ritiene che ci sia uno ‘specifico’ che riguarda i Rom, i bambini Rom e le loro condizioni di vita?
“Guardi, secondo le stime più accreditate i Rom in Italia sono poco più di 180 mila. La metà sono bambini. La maggior parte di loro non vive per fortuna nei campi. Ma anche riferendoci solo ai bambini Rom che vivono in quella dimensione devastante che è un Campo cosiddetto ‘nomadi’ , la massima parte di loro sono bambini bravissimi, coscienziosi, che vanno a scuola che cercano di vivere bene. Anzi sono fin troppo bravi considerando le condizioni di vita che devono affrontare, che sono diecimila volte peggiori di quelle che vivono normalmente i bambini italiani (anche se la massima parte dei bambini Rom, la quasi totalità, sono italiani, ma è per intenderci). E comunque nonostante tutto crescono senza che nessuno insegni loro, per esempio, ad odiare chi li perseguita e chi mette loro lo stigma sin da quando nascono, da quando vengono al mondo”.
Luce